Fuoriluogo

Proseguono i lavori della t43 per la realizzazione di Fuoriluogo.

Poche scene da girare alla conclusione, ancora un po’ di montaggio, musica, colori e ci siamo.

Pioggia e governo ladro fanno slittare la scadenza del 15 novembre, obiettivo agognato per la fine dei lavori e la consegna a Visione Italiane.

Vabbè… altri 10 giorni (CHE POI SONO DIVENTATI 2 MESI)

e ci saremo con un prodotto più ragionato e curato, speriamo anche più bello delle nostre previsioni.

Intanto la t43, sei studenti fuori luogo che si amano per come amano il cinema e vivono la vita,

fanno un po’ di conti: dopo zero esami totali, un casting, almeno due birre, tre feste, quattro attori trovati e cinque nottate al freddo per girare fino alle sei, sette skleri, otto riunioni di produzione e nove e/versioni di sceneggiatura, arrivano finalmente a portare a casa qualche buona immagine e qualche sbronza epocale.

Ormai è a lungo che questa compagnia di brutte compagnie lavora a questo corto, ma, per raccontarlo meglio qualche immagine di qualche parola. Di troppo.

pubblichiamo inoltre con estremo piacere…

ENRICO GREZZI INTERVISTA LA t43

IN ESCLUSIVA IL REPORTAGE DELL’AUTORE DI BLOB,

IN VISITA A TORLEONE PER L’ANTEPRIMA DEL CORTO:

Bologna, gennaio 2009

Preso da un (in)sopprimibile mal di testa, presi impulsivamente il treno.

Giunto a Bologna, come trainato, spinto da un irrefrenabile impulso, presi un 25, poi scesi a Torleone e lì, misticamente, sino al 43.

La casa di produzione produceva solo immondizia, ovunque sporco, un’esposizione di birre vuote. L’odore di fogna.

Animano questo delirio domestico 6 inquietanti personaggi ubriachi.

Il primo è in corridoio, monologa, sente gli indiani che arrivano dietro la porta, ma da Bollywood non dai western(s).

Ma dietro la porta, rumori sospetti, andirivieni di donne e un intenso profumo… un intenso profumo. Sulla porta: la scritta: Sala Montaggio: avrei capito, mi riproposi.

Subito odo dalla cucina il frastuono di una chitarra che plagia tutto De Andrè con un solo accordo, la suona il sosia siculo di Bardem.

Accompagna la chitarra un individuo multi sound con cuffie, maracas piccole e microfono con asta. Coi piedi suona le bottiglie.

Il quinto è al computer, spento.

L’altro si guardava le mani, che non rispondevano al suo sguardo.

Cosa mi aveva portato qui? Mi chiesi, nel panico.

Tre colpi irruppero dall’alto.

Classico rimprovero, in forma di scopa, di cacacazzi più altolocati.

I sei si guardarono sbigottiti, ebeti come sempre.

Dopo (im)percettibili sguardi/visioni d’intesa, uscirono.

Come un vortice che svuota la tempesta di una casa in tempesta.

Come un uragano che parte a travolgere uragazze.

Così uscirono lasciandomi solo con l’ombra dell’autore.

Loro, via: affamati di vita, di vite, di fica.

(Sineddoche, gentilmente concessami dal mio amico poeta Zalone)

Mi lasciarono solo, seduto nel buio.

Poco dopo o dopo poco, non ricordo, dei rumori.

Rumori che iniziavano ad animare l’(im)mondo cimitero di birre e immondizia ai miei piedi.

Per la seconda volta, ebbi paura.

Accesi la luce, e dinanzi a me, si palesò un gatto. Uno splendido gatto nero.

Il gatto spalancò la bocca con una smorfia strana, come uno sbadiglio muto.

Dopo qualche secondo arrivò il suo rutto miagolato.

Come il suono del tuono che segue il lampo.

Non ci credevo. Fantastico: anche il gatto parlava fuori sincrono.

Iniziammo a dialogare come piace fare a noi che odiamo il doppiaggio, che amiamo il muto e che vi restituiremmo volentieri tutto il colore per un po’ di poesia.

Parlammo di tutto: da Chaplin a Stirner a Delluc, e ovviamente di quantt’è fottte Tonino, mo Cassano. Parlammo anche un po’ in assiro antico al contrario.

Sostanzialmente entrambi non capimmo niente, ma lessicalmente continuammo a dar sfoggio di aggettivi. Ce la giocavamo ai punti.

Sto gatto è proprio cazzuto, pensai nabuconsondorianamente, in sanscrito.

Lui capiii e mi guardò intimorendomi gilgameshianamente.

Un’anima gemella:

era lui l’anima della t43,

me lo ritrovai sul grembo e, mentre lo accarezzavo,

cominciai l’intervista:

Mi spiegò molte cose.

Innanzi tutto che i gatti vengono prima di noi nella scala gerarchica.

Gli bastò fare due nomi per avere ragione.

Poi mi spiegò che:

Si, è vero, hanno nove vite, ma non possono utilizzarle in successione, tipo videogioco. Rimasi deluso dalla fine del game over, quasi più della caduta del muro. Quindi mi spiegò che devono viverne 9 contemporaneamente, nello stesso periodo. Era scontento di essersi beccato 9 vite in contemporanea tutte sotto Berlusconi.

Fui quasi dispiaciuto per lui, povero micio postmoderno,

nove vite del gatto oppresse dalla stessa vita di un biscione del cazzo.

Comunque, i sei ragazzi, mi confidò, erano 6 delle sue vite.

Le altre tre le stava utilizzando al meglio, quelle sei aveva deciso di sprecarle del tutto. Io gli ho visti quei sei, e vi assicuro, mai visto esistenze sprecate peggio.

Chiesi motivazione al gatto di una scelta così stolta per un animale così furbo.

Mi spiegò tutto: [(, e,): è una pausa sofferta], devo dire: aveva una logica.

Certo se siete disposti a credere che stia intervistando un gatto parlando fuori sincrono al contrario su come ha deciso di sprecare in sei studenti inutili, sei delle sue nove vite.. be è credibile no?

Allora, come si sprecano sei vite: una è dedicata interamente all’alcool, una alle droghe (e) leggere, una al brasaggio sportivo indiscriminato, prossima disciplina olimpica e ovviamente medaglia piombinese, una a non fare un cazzo, ma proprio niente, mai eh, una a rompere i coglioni, e l’ultima non lo sa, la spreca così, atarassicamente accidioso.

Sei studenti fuori di casa, fuori dal mondo, fuorisede e fuoricorso, fuori orario e fuori luogo, insomma fuori. Ma proprio fuorissimo. Mi spiegò del corto.

Era per lui il tentativo inutile di sottrarre queste braccia al tressette e a redtube e di unire queste menti malsane, introiettandole epistemologicamente in un percorso di catarsi artistica che metaforizzasse la loro condizione spirituale.

Annuì, in certi casi, meglio annuire.

Mi parlò del nostro amico Gerzy Grotowski, citandolo mentre si leccava le zampe:

“Gli allievi non sono mai creativi.

Nella nostra società opulenta si legittima un certo ritardo nella maturazione, ma Shakespeare ha scritto le sue opere migliori prima di aver compiuto trent’anni, Marlowe è stato assassinato a 29.

Un essere umano che abbia 17 o 18 anni è pienamente capace di essere creativo, e a 28, 29 si comincia a invecchiare.

Lasciarsi essere una sorta di eterno studente è sprecare il miglior periodo creativo della vita. Bisogna apprendere molto in fretta gli elementi del mestiere, bisogna farlo con rigore e immediatamente quando abbiamo 17 o 18 anni.”

Attassai, silente, pensai all’età del mio tempo e considerai che mi montavo quando mi capivo ma mi capivo solo quando mi montavo. Così, tornai sui miei passi. Camminando ovviamente al contrario.

Io ho visto il corto e, (questa è meno sofferta), fa abbastanza cagare.

A parte il plagio di Scorsese, a parte l’incapacità di stare dietro alla propria presunzione stilistica, a parte la goffaggine ringalluzzita della storia, a parte tutto, c’è qualcosa dietro, un certo fascino incerto di barlume di cinema che fa le fusa.

E qui: mentre l’odore del Mc Donald mi salutava in stazione: mi chiesi:

Ma come può il più grande cineasta felino che la storia del cinema ha mai conosciuto lavorare con sei personaggi del genere, i più goffi fancazzisti ebbri ed i più vergognosi emeriti balordi che la storia ha mai prodotto?

Non trovai risposta a questo interrogativo, né il biglietto.

Così, nascosi quest’interrogativo dentro me,

nascosto, come sempre, nel bagno dell’Intercity che mi riportava a Roma,

nascosto in una galleria dell’Altopiano tosco emiliano…

e.g.

Una Risposta

  1. e mettile altre due foto…!

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